venerdì 28 gennaio 2011

...quando piange lo fa più piano. Un tossico ed il suo cane.

Questa è una delle storie a cui sono più affezionato, è stata scritta da un operatore sociale della Cooperativa Magliana '80, che si occupa dell'intervento sulle tossicodipendenze in quel quartiere romano che ha legato il suo nome al degrado ed alla malavita. Oggi degrado e malavita non sono scomparsi ma convivono con i pensionati ed un ceto impiegatizio "piccolo borghese", come si diceva negli anni 70. Il Camper veniva utilizzato, in convenzione con il Servizio per le Tossicodipendenze della ASL, per decentrare le terapie sostitutive con il metadone e portarle più vicino ad una serie di pazienti che vivevano una condizione di tossicodipendenza oramai cronica... questo in teoria, e talvolta anche in pratica... in buona sostanza invece affluivano al Camper i soggetti più problematici dal punto di vista comportamentale che, con la loro patologia psicotica o borderline, concomitante ad un massiccio uso di sostanze e ad una vita condotta oltre i margini della legge, mettevano in seria difficoltà i servizi della ASL. L'équipe del camper era mista, medico ed infermiere della ASL, operatori sociali di Magliana 80, spesso ex tossicodipendenti con un percorso riabilitativo completato e mantenuto con successo, che "sapevano" come trattare con quegli utenti difficili. La mia funzione di Supervisore era quella di ascoltare le angosce di questi operatori di fronte al tema del degrado, della malattia e della morte, temi da loro attraversati in prima persona e riattivati dal rapporto con questi pazienti particolari, cosa che metteva loro in una posizione delicatissima. Penso, spero, di aver aiutato a "non farsi male" queste persone speciali, piene di vita e di esperienza, con una carica ed una sensibilità fuori dal comune... abbiamo passato insieme molte ore e molti anni a discutere, pensare metodi, valutare il lavoro, cercare di migliorarlo, raccogliere ed elaborare angosce personali molto profonde, interpretare il senso delle trame relazionali che si attivavano con i pazienti... qualcuno di questi operatori si è laureato ed è diventato un collega, chi è diventato nonno, chi è morto di AIDS dedicando gli ultimi giorni della vita a lavorare per strada con i "tossici"... di altri ancora non conosco quale sia stato il loro destino... mentre scrivo non so se li ho mai ringraziati per tutto quello che mi hanno insegnato, nonostante fossi io il loro supervisore... è giunto il momento di colmare questa lacuna... 
Ecco la storia, la trovo particolarmente toccante, anche per la presenza di un cane, unico affetto del paziente che chiameremo Andrea...

immagine da www.tafter.it

Andrea è stato uno dei primi a venire al Camper. Abitava e abita a Donna Olimpya e con la chiusura del Ser.T si era trovato un tantino in difficoltà, tenendo conto che stava a 280 mg di metadone a mantenimento più tre Minias al giorno. Non tre pasticche di Minias, tre flaconi di Minias.
Arrivava tardi preceduto da Lucky a cui scioglieva il guinzaglio subito dopo essere entrato nel parcheggio.
Ci metteva tre quarti d’ora per buttarsi giù quei due bicchieroni, non avevo mai visto una cosa del genere, lo giuro.
Veniva sempre lavato e profumato col suo faccione da bambino leggermente sudato e sempre con Lucky attaccato al lungo guinzaglio rosso ed era sicuramente più sorridente di tanti che avrebbero da ridere ma da ridere veramente.
Cerchiamo di spiegarci. Se su cento persone che dovevano venire al Camper non ne veniva qualcuno, a caso, questo non era un problema. Se per la mezza Andrea non si vedeva, questo era un problema, un bel problema.
Se veniva presto era peggio, dato che c’ aveva tempo pure per vomitare e ricominciare da capo con i 280.
Una volta d’estate l’hanno portato i Carabinieri. Lucky non c’era, l’avevano lasciato legato a un palo da qualche parte. Lui piangeva forte e tremava ancora più forte. Lo avevano fermato con mezz’etto di fumo mentre parlava con due pischelli.
Ci mise relativamente poco a bere i primi 280 e possiamo dire che, da come la vedevo io, era più che altro preoccupato per Lucky. Vomitò affacciato alla porta del Camper e ripartì come al solito molto più agitato del solito, anche i Carabinieri era agitati, lo misero in macchina e ripartirono, ma si fermarono inchiodando prima di uscire dal parcheggio. Vomitò per la seconda volta senza scendere dalla macchina.
Lo riportarono dal dottore mentre qualcuno chiamava il responsabile del Ser.T, tossiva forte e c’aveva la pressione alta, parecchio. I Carabinieri non sembrava volessero mollarlo non ancora, rimontò sul Camper il dottore gli fece un Plasil, intramuscolo, lui si sedette un quarto d’ora e l’infermiera gli versò i soliti 280.
Li bevve piano questa volta e il suo stomaco intorpidito dal Plasil parve sopportarli. Lo portarono via, seppi poi che gli avevano fatto solo il foglio di sequestro, solo questo. Qualcuno disse che era infame, che qualcun altro aveva pagato al posto suo.
Io non credo sia andata cosi. Io con lui c’ho parlato e mi ha detto che gli ha vomitato al Comando, su una scrivania, che ha iniziato a tossire e a scatarrare dappertutto, che gli si erano gonfiate le mani e pure il viso e che poi non c’era niente da pagare.
Perché lui si il fumo glielo aveva pure dato ai pischelli, questo si, ma i pischelli l’avevano buttato perché avevano visto i Carabinieri da lontano, dato che erano in divisa ed era vero io pure li avevo visti.
E forse nemmeno i Carabinieri se la sono sentita di lasciare dentro Regina Coeli un cristiano in quella condizioni, per così poco.
Adesso sta meglio, é stato per tre mesi al Gemelli e glielo hanno scalato con le flebo.
E’ fermo a quaranta di metadone e un flacone di Minias.
E’ sempre facile al pianto ma quando piange lo fa più piano.

sabato 15 gennaio 2011

I nostri ragazzi e le "nuove droghe". Storia di una scorciatoia del vivere...

Per anni ho supervisionato le Unità di Strada che si occupavano elle cosiddette "nuove droghe", consumate prevalentemente nelle discoteche da ragazzi molto giovani: tutte le varie forme dell'Ecstasy sono dette droghe empatogene, hanno come effetto principale quello di superare la normale timidizza ed imbarazzo che ci può essere in un contatto tra coetanei adolescenti che si avvicinano al tema della sessualità: sentirsi estroversi ed in pace con il mondo, poter "rimorchiare" chiunque sentendosi un gran figo od una grande figa, poter esercitare una libertà sessuale spesso oltre i limiti della propria capacità emotiva di poter sopportare esperienze forti; poter ballare tutta la notte e sentirsi onnipotenti;  i danni non sono solo fisici o psicopatologici, il colpo di calore, attacchi di panico, crisi psicotiche: il danno più grosso è l'evitamento di quella condizione esistenziale in cui dobbiamo superare la paura dell'entrare in relazione con l'altro, la paura della sessualità, la paura di non essere abbastanza apprezzato/a e costruire così una propria identità personale e psicosessuale. Questo genere di droghe hanno un forte appeal perchè consentono di evitare il problema, spesso con l'aiuto delle birre e di qualche canna fatte prima di entrare in discoteca, e di qualche pasticca di benzodiazepine o una sniffata di eroina presa prima di arrivare a casa la mattina per diminuire gli effetti eccitanti, ovvero "scendere e smaltire sennò i miei me tanano". Su circa 10.000 ragazzi e ragazze contattati in discoteca 1 su 2 aveva provato una qualche forma di sostanza, è vero che provare non significa automaticamente diventare tossicomane, ma i numeri sono enormi e quest'esperienza fatta continua a ribalzarmi in testa creando interrogativi, riflessioni e, da padre e da persona affascinata dai giovani, preoccupazione. Questa è una delle storie pubblicate su "Storie di Strada" Arion Edizioni, scritta da una Psicologa di Magliana '80. Aiutare questi ragazzi a non vivere solo nell'azione, a narrare la loro storia, a sentire di avere una mente che può tenersi in mente e considerare i propri sentimenti, pensieri, immagini, idee, aspirazioni, delusioni, frustrazioni e rabbie, sia nella dimensione intrapsichica che in quella interpersonale, è "la cura", la cura che può dare un'alternativa ad una mente condizionata e manipolata dalla chimica delle sostanze assunte, le scorciatoie del vivere...

Un pomeriggio….
E’ domenica pomeriggio. Io, Alessandra e Silvana ci vediamo in sede per un turno pomeridiano alla discoteca Heaven ,che si trova a Piramide. Tutti i pomeriggi di sabato e di domenica la discoteca accoglie ragazzi di età compresa tra i 14 e i 18 anni, anche se non è strano incontrare giovani di età superiore.
Come al solito, prima di spostarci alla volta del locale,ci confrontiamo sulle cose da portare con noi e prepariamo il materiale necessario (volantini, preservativi…candele...teli da mettere sul tavolo) per renderci visibili e per creare uno spazio che ci distingua e ci accolga. Portiamo anche gadget e dolciumi che vengono scelti tenendo presente i gusti dei ragazzi., sempre per agevolare il contatto con loro.
Organizzato il materiale prendiamo la macchina, concordiamo su chi va alla guida, e quindi partiamo alla volta dell’Heaven.
Al nostro arrivo, davanti al locale, troviamo un nugolo di ragazzi assiepati davanti all’ingresso; noi non abbiamo problemi ad entrare, grazie all’ottimo rapporto con ........., organizzatore dei pomeriggi dedicati ai più giovani. L’ottimo rapporto instaurato con lui, già dal primo anno del progetto, ha fatto sì che ogni nostro intervento avvenisse in stretta sinergia con il programma del locale. Questo non solo ha favorito i contatti ed agevolato l’accettazione da parte del contesto (ragazzi – operatori del locale- operatori di Magliana 80) ma ha anche stimolato la creatività sulle possibili cose da proporre in futuro……………..il locale è stato per noi ottimo osservatorio dei comportamenti del gruppo target, un’ottima palestra per il nostro lavoro.
Entriamo in discoteca, dove i ragazzi dell’equipe del concludono freneticamente gli ultimi preparativi e ci sistemiamo nei divanetti sotto la console che si trova davanti la pista, posizione che ci permette di interloquire sia con i ragazzi sia con i dj, se necessario per richiamare l’attenzione sul nostro lavoro.
 Sistemiamo il materiale, accendiamo le candele, i preservativi vengono sistemati singolarmente su un cestino e anche noi siamo pronti per l’“evento”…….inizia la musica….i ragazzi si riversano nella pista……e pian piano cominciano ad avvicinarsi…..prima timidamente…..poi in maniera più spigliata e intraprendente…forse anche grazie al nostro atteggiamento accogliente!
I ragazzi si avvicinano e noi gli andiamo incontro cercando di spiegare che il materiale contiene delle informazioni su come funzionano le droghe ,indicandone gli aspetti e i rischi, in altre parole le conseguenze dannose sulla salute fisica e psicologica. 
Aggiungiamo alle informazione sulle droghe anche il preservativo, che non è un gadget, ma ci permette di parlare dei rischi di malattie sessualmente trasmissibili e poi lasciamo la possibilità al ragazzo/a di porre delle domande, se ne ha , o di raccontare qualcosa di lui come è capitato quel pomeriggio.
Dopo qualche ora che stavamo lì , si avvicina al nostro tavolo un ragazzo che, in maniera timida , mi chiede che cosa facciamo e chi siamo. Io immediatamente gli dico che siamo un gruppo che lavora per Magliana 80, che ci occupiamo di prevenzione sulle droghe, in particolare sulle sintetiche e sull’ecstasy.
Gli mostro il nostro materiale informativo e glielo offro, chiedendogli se conosce le sostanze di cui parlo. Il ragazzo risponde timidamente, guardando a terra, di sì ; chiede che effetti hanno sul cervello ed io gli parlo dell’azione sulle serotonina, degli effetti a lungo termine e della possibilità che compaiano anche attacchi di panico…. Piero mi guarda negli occhi, mentre prime, pur rimanendo attento , manteneva gli occhi bassi, e, infine, mi chiede se sono una psicologa.
Io gli dico di sì e, allontanandoci dal tavolo, mi racconta di sé, mi dice che ha cominciato ad usare l’ecstasy circa un anno e mezzo fa, frequentando durante il fine settimana, un gruppo di amici che andavano in discoteca e che , dopo una delusione sentimentale, voleva un po’ reagire e non pensare…
Piero ,che ha 17 anni, aveva continuato ad usare ecstasy per circa otto mesi tutti i fine settimana...poi in famiglia si erano accorti che stava male….lui era riuscito a parlarne con il padre, anche perché, nel frattempo, erano comparsi stati d’ansia molto intensi che lo avevano convinto a chiedere aiuto. Gli chiedo a chi si erano rivolti e il ragazzo risponde che il padre lo aveva accompagnato ad un CIM dove c’era una psicologa. Aggiunge che con la psicologa che lo segue si trova bene e che ha capito delle cose, anche se lui è impaziente di ottenere dei risultati. Lo esorto a non mollare, ribadendo il possibile collegamento tra i suoi stati d’ansia e l’uso della sostanza…e infine aggiungo che potrà avere delle informazioni supplementari dagli psicologi del nostro sportello di cui fornisco numero e indirizzo. Gli dico di cercare Fabio, o anche nella nostra sede, ma lo rinforzo a continuare il percorso intrapreso.
Piero mi ringrazia e mi dice che è la prima volta che parla di questa esperienza con una persone estranea, mi sorride e si allontana.

domenica 2 gennaio 2011

Sale e coltello. Una storia dal centro notturno di pronta accoglienza...

Sale e coltello

Mi sveglio di soprassalto con una sensazione di disagio. Subito porto l’orologio davanti agli occhi. Sono le 3.00 di notte. Mi colpisce la forte luce in cucina, proprio di fronte all’ufficio vetrato dove dormo.
Immediatamente inquietudine, non è normale , di solito gli ospiti andando in bagno accendono la luce piccola....
Resto due minuti ancora sul letto cercando di ascoltare se si sentono dei rumori. Silenzio assoluto. Mi alzo ed esco dall’ufficio dirigendomi in cucina. Penso che con quella luce così forte e violenta anche la mia collega si sarà svegliata. Entro in cucina. C’è una persona, di spalle alla porta, davanti al lavandino, immobile. Mi colpisce subito il coltellaccio posato sul ripiano della cucina : è il più grosso che abbiamo. Ho riconosciuto la persona : è Marco.
La cosa non mi tranquillizza, stasera era molto “fatto” di pasticche, e tutto il suo agire sembrava senza senso. Sono inquieto, preoccupato. Come starà ? Sarà minaccioso, pericoloso ? Anche il fatto che stia del tutto fermo mi preoccupa, sembra perso nel vuoto.

La notte stellata V. Van Gogh

Decido di passare all’azione. Gli parlo senza muovermi, mantenendo una certa distanza di sicurezza da lui : “Che stai facendo ?”. Marco ha un sussulto, dice di non avermi sentito arrivare. Molto lentamente si gira e alza un contenitore di sale che deve aver preso dalla credenza (lo sportello è aperto), non parla, lo guarda un po’, lo riposa, fa un passo in avanti e prende il coltello. La mia ansia è al culmine, ma cerco di tranquillizzarmi e vedere cosa succede . Lo guarda un po’ poi lo riposa. Mi guarda e dice : ”Volevo bere un bicchiere d’acqua”. Barcolla, quasi cade. Si gira e si avvia lentamente verso il bagno, sparendovi all’interno. Rapidamente entro in cucina e rimetto a posto sale e coltello. Capisco subito che sarà bene il giorno dopo togliere dalla cucina i coltelli. Non lo faccio subito per non creare agitazione. Marco esce dal bagno, mi guarda, ma non parla e barcollando vistosamente, se ne torna in camera da letto. Dopo un minuto lo seguo. E’ tutto spento, ma attraverso la luce che esterna, filtrata dai vetri, vedo abbastanza bene. Rimane un po’ seduto sul letto poi lentamente si sdraia e dice :”Sale e coltello”. Torno in cucina e tolgo i coltelli, mettendoli in una busta che porto in ufficio. Spengo la luce. Torno a letto. Ho avuto parecchia paura. Cerco di rilassarmi. Resto per parecchio tempo con gli occhi aperti nel buio.