lunedì 26 agosto 2013

Sul tempo, stress e nevrosi.

Siamo abituati a considerare il tempo come un contenitore, una sorta di scatola in cui collocare più cose possibili. Consideriamo altresì la nostra vita come se fosse realmente scandita da un tempo lineare, divisibile meccanicamente in anni, mesi, giorni, ore, minuti, secondi...



Tutto ciò è un falso, meglio, una convenzione.

Scambiare questa convenzione per qualcosa di realmente esistente è fonte di accumulo di stress e nevrosi.

Già Agostino d'Ippona, nel mirabile undicesimo libro de “Le confessioni” sconfessa la visione lineare e meccanica del tempo: “Tre sono i tempi: il presente del passato, il presente del presente ed il presente del futuro”. E rispetto alla misura del tempo: “ Cosa misuro infatti se dico: questo tempo è più lungo di quello?... non misuro il futuro, che non esiste ancora, non misuro il presente, che non ha estensione, non misuro il passato, che ormai non esiste più.” Agostino conclude che le misura del tempo è nell'anima (oggi forse diremmo nella mente) e che il vero tempo, l'eternità, appartiene solo a Dio.

Immanuel Kant 13 secoli dopo definisce il tempo come uno schema da noi utilizzato per collocare, ricostruire ed elaborare mentalmente immagini e concetti. Tutta l'attività mentale per Kant è scandita dal tempo, che lungi dal costituire una realtà esterna da cogliere attraverso i sensi, è uno schema presente a priori dentro di noi.

Arriviamo al secolo scorso per incontrare la ricerca sui ritmi circadiani, ed anche qui viene confermato che il tempo non è altro che una sorta di senso interno, scandito da alcuni attivatori biologici.

Quindi il tempo non esiste come oggetto dell'esperienza, siamo noi a costruire il tempo perchè abbiamo bisogno di collocare i mutamenti della natura ed i mutamenti del nostro corpo in una progressione che ci piace immaginare lineare e ripetitiva.



Negli anni '60 era di moda regalare un orologio per la prima comunione. Era una sorta di ammissione nel mondo degli adulti. Il piacere di ricevere un oggetto bello, all'epoca costoso, simbolo dell'ingresso in punta di piedi in un mondo adulto, lasciava ben presto spazio alla puzza di bruciato, all'idea di aver preso una fregatura. In realtà, con l'orologio, si veniva ammessi in un infernale mondo dove vige la schiavitù. Ogni istante della propria vita iniziava ad essere scandito, obbligato.

Noi baby boomers eravamo fortunati, non avevamo centri estivi dove venivamo raccolti come profughi quando i genitori non sapevano cosa fare di noi perchè era estate e le scuole chiudevano, la giornata estiva era un fluire naturale scandito dall'organizzazione dei nostri giochi, interrotta solo dalla necessità, fisiologica, della colazione, del pranzo, della merenda, della cena, del riposo notturno. Per il resto davamo forma al nostro tempo con la fantasia, che ci faceva diventare di volta in volta corridori del giro d'Italia, calciatori famosi, guardie o ladri, corridori automobilistici.

Il tutto mentre imparavamo dall'esperienza a stabilire e regolare le relazioni all'interno del gruppo, imparavamo la dominanza/sottomissione, il potere, la compassione, l'empatia, spontaneamente crescevamo secondo il nostro tempo interno.

Così nelle altre stagioni l'unico tempo meccanico era la campanella della scuola che suonava 4 volte: entrata, ricreazione, fine ricreazione, uscita... una dose di schiavitù tollerabile, perchè poi potevamo rientrare nel fluire del tempo personale/interpersonale... L'altra forma odierna di schiavitù, il tempo televisivo, era la TV dei ragazzi dalle 17 alle 18, il film del lunedi sera, un cartoon Disney a Natale.

Il tutto comunque era molto dimensionato e tollerabile, non avevamo scuole a tempo pieno, palestre, piscine, danza, inglese, chitarra e cinese, pene attualmente comminate ai bambini responsabili di avere dei genitori schiavi del tempo meccanico ed illusorio.

Siamo disabituati a percepire sia cambiamenti della natura che i cambiamenti del corpo... non vediamo il tempo, ma potremmo vedere dei cambiamenti... il nostro corpo non ha le stesse esigenze nelle 24 ore ma non siamo abituati ad ascoltarlo ed accondiscendere: la mattina siamo più pronti per le attività mentali, poi verso le 12 abbiamo bisogno di riposo perchè c'è un calo fisiologico, per poi riprenderci nel pomeriggio dove vanno privilegiate attività fisiche e di movimento, per poi far calare la sera con tranquillità, con un progressivo ritiro che ci conduca alla frenata graduale, unica garanzia di un sonno facile e ristoratore.

La mattina poi il nostro corpo non vuole un risveglio frenetico, ma un progressivo addentrarci nel vivo della giornata.

In tutto questo, il tempo del cibo dovrebbe essere esteso, metodico e sociale: “slow food for ever”!

Ma tutti gli impegni??? Come si fa, queste son belle parole, ma bisogna lavorare, pulire casa, badare ai figli... la sequela nevrotica incombe e preme, mentre ci dimentichiamo del nostro corpo dei ritmi che detta, ci dimentichiamo della natura e delle stagioni, che a loro volta dettano al nostro corpo dei ritmi diversi secondo la temperatura e la quantità di luce solare.

Ascoltare il proprio corpo, capire i ritmi ed assecondarli, potrebbe essere l'inizio di una piccola/grande rivoluzione, un primo rifiuto della schiavitù indotta dal falso tempo meccanico, che diventa un contenitore che vogliamo riempire sempre di più.

Non ascoltare il corpo e non accompagnarlo nei suoi ritmi necessari, non seguire la scansione di un tempo interno e soggettivo comporta un grave accumulo di distress, legato a sua volta ad una maggiore incidenza di malattie cardiocircolatorie, gastrointestinali e malattie mediate dal malfunzionamento del sistema immunitario, tra cui il cancro.

Seguire l'illusione di un tempo meccanico e lineare da riempire di cose è frutto di un'interpretazione nevrotica ella realtà, alla base della quale, per lo più si trovano stati ansiosi e depressivi, ed il conseguente tentativo di riempire il tempo in maniera onnipotente per non “ascoltare” sentimenti ed emozioni che ci mettono in difficoltà e non ci riconosciamo volentieri.

Qual' è la cura?
  • Pensiamo sempre al tempo per quello che è, non come un dato di fatto ma una mera convenzione, utile se dobbiamo andare al cinema, in vacanza, giocare a calcetto o svolgere un lavoro in compagnia di altre persone. Il tempo serve per concordare dei momenti condivisi. Non di più!
  • Oggi possiamo combattere la schiavitù del tempo televisivo attraverso il Web e la TV on demand, strumenti irrinunciabili, possiamo scegliere i momenti della giornata in cui lavorare o intrattenerci, ed il tutto compatibile con i tempi del corpo: è noto che si deve evitare attività al computer o programmi televisivi eccitanti prima di andare a dormire, quindi via PC, MAC e TV dalla camera da letto.
  • Impariamo ad ascoltare, tollerare ed assecondare il nostro corpo, ci accorgeremo che in alcuni momenti della giornata avremo voglia di pensare, studiare, organizzare, in altri avremo voglia di muoverci, in altri avremo necessità di mangiare, di riposare, di incontrare gli amici e le persone care. Ricordiamoci che non si tratta di capricci da superare, ma di vere e proprie necessità: se la vogliamo mettere su un piano unicamente materialistico perdiamo più vita e soldi in trattamenti sanitari di quelli che pensiamo di guadagnare violentando le esigenze fondamentali.
  • Impariamo ad ascoltare, tollerare ed assecondare la nostra mente, riconoscendole il diritto a diversi stati d'animo, ad un tempo interno ricco e vario, che dovrebbe venire primo in grado rispetto agli impegni esterni, ed alla paura di guardarci dentro e riconoscerci per quelli che siamo. Anche in questo caso coltivare la propria nevrosi è molto costoso anche sul piano materiale, in termini di vita e risorse sprecate.
  • Introduciamo sistematicamente metodiche di rilassamento profondo e meditazione, imparandole da professionisti esperti, che possono aiutarci a recuperare l'ascolto di corpo e mente.
  • Se nulla di tutto ciò funziona non trasciniamo la nostra vita in condizione di schiavitù e rivolgiamoci ad un professionista, possibilmente che non sia a sua volta uno schiavo, che possa aiutarci a spezzare le catene.
  • Consideriamo sempre che la vita è un bene che abbiamo ricevuto e che un giorno dovremo restituire, quindi sarebbe cosa buona restituire il bene ricevuto in buone condizioni e possibilmente accresciuto e migliorato, ciò potrà avvenire solo se saremo stati capaci di “mantenere” bene noi stessi per poter lasciare un segno positivo di noi nelle persone e in quello che, seguendo la freccia del tempo e la seconda legge della termodinamica, ci ostiniamo a chiamare “futuro”.

domenica 20 gennaio 2013

Vivere in tempi di crisi, istruzioni per l'uso: A Psychological Survival Kit

“O tempora o mores”. Ogni era ha la sua morale, e le sue psicopatologie!

Esistono delle psicopatologie che nel tempo si ripetono uguali a se stesse, ma vengono considerate diversamente dal contesto storico culturale.

La figura di Ildegarda di Bingen, affascinante badessa mistica del XII secolo, visionaria, taumaturga, medico, filosofo, predicatrice, badessa, ai tempi di Freud sarebbe stata un'isterica, oggi sarebbe stata una persona avviata ad una carriera neuropsichiatrica. A causa dei disturbi neurologici, delle visioni e delle sue elaborazioni mistiche sarebbe stata imbottita di antipsicotici atipici, stabilizzatori dell'umore e si sarebbe fatta qualche ricovero in clinica o in trattamento sanitario obbligatorio.


I tempi ed i costumi oltre ad accogliere in maniera diversa le manifestazioni dell'animo umano e contribuiscono a creare delle forme specifiche con cui le persone esprimono il loro star male.

La repressione sessuale condizionò i fenomeni che poi vennero denominati “isteria”, a partire dalla quale Freud ideò il pensiero psicoanalitico. Oggi l'isteria sembra quasi scomparsa o mimetizzata all'interno di altre psicopatologie.

A partire dagli anni 70', nell'epoca del relativismo morale e dell'individualismo, della perdita delle reti supportive sociali e familiari, si sono mostrati in aumento esponenziale i cosiddetti disturbi narcisistici, legati ad una fondamentale fragilità dell'animo unita ad una particolare sensibilità per come si viene visti dagli altri, vissuti come sempre più distanti e persecutori piuttosto che supportivi.

Vediamo come la profonda crisi economica che sta attraversando tutte le civiltà occidentali, influenzano l'espressione dell'ansia e della depressione.

Fino ad oggi tutti credevano nel progresso e non vi erano dubbi che le generazioni successive avrebbero potuto vivere meglio delle precedenti.

L'uscita dall'orrore delle guerre mondiali, il miglioramento delle condizioni di vita che ebbe un picco positivo nel secondo dopoguerra del '900 (del quale i “baby boomers” , le persone nate tra il 1950 ed il 1968, sono un prodotto) la rivoluzione (culturale e dei costumi più che politica) del '68 hanno creato una generale fiducia nel “progresso”, nel miglioramento a tutti i costi.

In questi periodi in cui l'economia recede le persone si trovano di fronte ad importanti disillusioni, a configurazioni sociali date per acquisite e scontate, che invece sembrano crollare.

Il prezzo è il disorientamento, la perdita dei sogni, l'ansia, la depressione.

Le patologie di tipo ansioso sono in grande aumento ma il vero male epidemico è quello costituito dalle varie forme di dipendenza, strettamente collegate alle prime.

La dipendenza è un tentativo di autocura delle patologie ansiose perchè le dipendenze consentono di regolare in maniera immediata l'iperattivazione ansiosa ed i picchi depressivi.

Dall'uso di droghe, epidemico a partire dagli anni '70 del secolo scorso e non in regressione, le dipendenze si sono estese a diverse aree come il comportamento alimentare, gli affetti, lo shopping, internet e l'uso compulsivo di tutti i “technological devices”.

L'alcool rimane una dipendenza antica e mai debellata, il tabagismo è passato da un modello da emulare (chi non ricorda Huphrey Bogart in Casablanca che da l'addio alla sua bella fumando come un turco) alla più grave e dannosa , in termini di costo sanitario e mortalità, delle dipendenze.

Occorre un kit psicologico, una valigetta degli attrezzi per poter vivere in un mondo che cambia, anche più rapidamente di quanto possiamo immaginare, un kit composto da 15 antidoti che costituisca un'importante prevenzione per le ansie generate dal contesto sociale che viviamo.

E' importante cambiare mentalità e non essere investiti dalle folate di vento di disillusione, di ansia per il futuro. Vivrà meglio chi capirà prima e sarà in grado di disporsi al cambiamento.

Saranno inevitabili alcune generalizzazioni e semplificazioni che mi perdonerete.

1. Il primo antidoto che tiriamo fuori dalla valigetta si chiama “Decrescita”. Per la definizione e la storia vi rimando a Wikipedia. In estrema sintesi, il pianeta non può sopportare il modello di sviluppo dominante dall'ultimo dopoguerra in poi.

Se in termini generali possiamo anche essere convinti dell'opportunità di rivedere il ciclo produzione-consumi, nel particolare delle vite di tutti noi tutto ciò implicherebbe assumere dei comportamenti che implicherebbero cambiamenti importanti e difficili da digerire: per vivere in maniera coerente alla decrescita è necessario quindi un vero e proprio lavoro di ridefinizione psicologica delle nostre abitudini.



2 Ciò che la “Decrescita” rappresenta a livello globale il “Downshifitng” declina a livello personale, nelle nostre vite di tutti i giorni. Anche qui per la definizione rimando a Wikipedia ed alle varie pubblicazioni sul tema. La scelta della semplicità volontaria nasce da professionisti e dirigenti che decidono di impiegare diversamente il proprio tempo, vivendo in maniera frugale e risparmiando così risorse da dedicare alla famiglia, agli affetti, al volontariato, alla coltivazione di sé.

I più giovani in attesa di lavoro o con lavori saltuari obietteranno che per loro il “down” non è una scelta, ma una condizione obbligata. Ancora di più cambiare mentalità verso una vita frugale ed essenziale diventa una necessità impellente, un fattore di sopravvivenza e non una scelta che per ora è classificata da molti un po' snob e fondamentalmente aristocratica.

Cercare con soddisfazione l'essenzialità ed il recupero del tempo per se stessi e per gli affetti combatte il senso di frustrazione permanente.

3. Terza idea per la sopravvivenza è una nuova rivoluzione copernicana: Copernico mise finalmente il sole al centro e non la terra, ora dobbiamo mettere al centro il Tempo e non il Denaro. Il tempo non è denaro, come si diceva una volta, ma un bene limitato che non si può scambiare, che si perde irrimediabilmente non appena trascorso, ed il suo trascorrere è ineluttabile.

E' vero che se non c'è denaro sufficiente il tempo può essere gramo, è anche vero che la soglia della “sufficienza” del denaro non è oggettiva ma influenzata dalla morale, da usi e costumi. In altre parole lavorando sui falsi bisogni si può diminuire di molto il denaro necessario a fare una vita soddisfacente. I beni materiali spesso sostituisco un orizzonte di senso difficile da trovare nella vita, costituiscono una soddisfazione immediata che esime le persone dall'interrogarsi sul senso delal propria esistenza, dal guardarsi dentro e leggere eventuali fonti di insoddisfazione. Spesso ci si getta sui beni materiali perchè si ha paura di crescere e cambiare.

Per i miei nonni il risparmio era un valore e all'epoca (i miei nonni nascono intorno al 1900) chi si indebitava era guardato con sospetto: magari vivere di poco, ma del proprio. Dagli anni '60 l'indebitamento è diventato un valore, rate per la lavatrice, la tv, la macchina nuova, più spaziosa, potente e prestigiosa. Poi vennero i mutui e gli italiani (unici nel mondo occidentale) diventano quasi tutti proprietari di casa, perchè l'affitto sono “soldi buttati”. In realtà la proprietà di quelle case è per lo più delle banche, in attesa che le famiglie paghino i mutui. La propria vita in mano alla banca, per 15, 20, 25 anni! Spesso nella voglia di crescere ed emanciparsi si acquista una casa più grande, bella e cittadina di quanto sia indispensabile, ed il criterio del denaro sufficiente per vivere cresce, cresce esponenzialmente.

Questo è un'importante fattore di ansia cronica, la tanto desiderata casa di proprietà diventa un Moloch al quale sacrificare la propria vita ed il proprio tempo.

Essere indebitati è “buono”, con poco al mese possiamo avere macchina nuova, il televisore, il computer nuovo, e ci mangiano il Tempo e l'anima, la serenità, che sono gli unici due beni non sostituibili.

4. Quarto antidoto è la considerazione oggettiva dei nostri tempi: viviamo più a lungo e meglio, la medicina ha fatto passi da gigante, la gente può avere un'istruzione, siamo più attenti del passato all'infanzia, alle persone più deboli, alla natura ed agli animali, il concetto di razza è sostanzialmente abolito e nasce il dialogo interreligioso. C'è ancora moltissimo da fare, ma solo 50 anni fa tutto ciò sarebbe stato impensabile!

Abbiamo un'aspettativa di vita lunga e relativamente comoda ed istruita. Volere sempre di più, riferito specialmente ai beni materiali, fa in modo di creare nelle persone uno stato di perenne frustrazione e lamentela che ci fa dare per scontato il fatto che i miei genitori sarebbero potuti morire per una semplice polmonite che oggi si cura con 10 giorni di antibiotici e di riposo a casa.

Così viviamo di più, ma rischiamo di farlo depressi e svogliati, frustrati perchè guardiamo sempre a tutto ciò che non abbiamo.


5. Gianbattista Vico, XVIII secolo, e Oswald Spengler, XX secolo, ci insegnano che la storia non è un percorso lineare, ed Arnold J. Toynbee, allievo di Spengler, riprende ed esalta la nozione di cicli storici parlando delle civiltà come creature che hanno un loro ciclo vitale, nascono, crescono, invecchiano e muoiono. La principale opera di Spengler si intitola “Il tramonto dell'Occidente”.

Se esistono i cicli in storia dobbiamo allenarci a pensare che l'idea che il futuro sarà sempre garantito è fasulla. Posti di lavoro a tempo indeterminato, stato sociale, pensioni erogate con il metodo contributivo, costi faraonici della politica e dell'apparato statale, risorse dello stato distribuite in maniera clientelare, lavoro per lo Stato e contemporaneo lavoro in nero che permette di pagare la casa al mare e l'Università ai figli appartengono ad un altra epoca.

Il garantismo sindacale si tramuta in scontro generazionale, tra chi ha un lavoro ipergarantito e chi il lavoro non ce l'ha punto. Un giovane che non riesce a lavorare vede con orrore gli operai che si lamentano della cassa integrazione, grazie alla quale invece che perdere il lavoro possono stare a casa pagati, magari poco, ma pagati.

La condizione precedente non è prorogabile, le risorse sono state consumate tutte. Chi gode ancora di privilegi prova a tenerseli stretti, ma per chi non gode di privilegi desiderarli è fonte di frustrazione, ansia, depressione. Smettiamo di desiderare quello che non possiamo avere.

I privilegi sopra elencati non sono esistiti in tutte le epoche ma, considerando i tempi storici, in un breve periodo di esaltazione legato al progresso tecnologico e ad un periodo relativamente sgombro da guerre devastanti.

6 Considerare le cose “sub specie aeternitatis”, come diceva Spinoza: uscire dalla continua attenzione alla nostra esistenza individuale e storica limitata nel tempo.
Guardare più in là, alle generazioni future ed alle altre persone.
Guardare più in su se si possiede una forma di religiosità e di trascendenza.
Dice il filosofo: “ La beatitudine non è il premio della virtù ma la virtù stessa; e non non ne godiamo perchè reprimiamo le nostre voglie; ma viceversa, perchè ne godiamo possiamo reprimere le nostre voglie.”

7 Ridimensionare le aspettative senza perforza rinunciare ai sogni. Il problema della disoccupazione intellettuale è legato al fatto che la società italiana non è realmente evoluta al passo con il quale sono evolute le aspettative di miglioramento della condizione sociale. Si laureano molte più persone di quante un'Italia fondamentalmente sclerotica, gerontocratica ed arretrata riesca ad assorbirne. Oggi laurearsi non è poi così difficile, le Università pubbliche costano poco, genitori con il diploma superiore o con la terza media mettono al centro della loro vita l'aspettativa di avere un figlio laureato, ci si può laureare anche impiegando 10 anni per compiere un percorso di studi per il quale ne servono la metà.

Spesso ci si laurea impiegando troppo tempo e con percorsi di studi di scarsa qualità. Un tempo bastava laurearsi comunque e sperare in un concorso, prima o poi entravano tutti, bastava uno zio democristiano o socialista, la laurea era solo un pretesto. Oggi le raccomandazioni non sono finite, anzi, ma ci sono meno risorse, quindi i laureati devono confrontarsi con il mercato del lavoro che vede l'Italia fanalino di coda nelle professioni intellettuali, devono poi confrontarsi, in epoca di globalizzazione, con i giovani colleghi stranieri, forse meno forti sotto l'aspetto teorico ma più preparati per lavorare.

Non rimane che puntare sulla laurea come strumento di crescita personale, non strettamente legato alla possibilità di utilizzare quella laurea in modo tradizionale. In altre parole occorre sentire il famoso discorso che Steve Jobs tenne alla Stanford University nel 2005 (disponibile su Youtube), leggere la sua biografia (magari per completezza leggere anche “Se Steve Jobs fosse nato a Napoli”) e farsi così l'idea che i percorsi lineari e scontati non esistono più ed occorre fare un bell'esame di realtà ed un business plan, valutare il proprio grado di creatività, spirito di sacrificio e disponibilità al cambiamento prima di infilarsi in una situazione potenzialmente frustrante come le formazione universitaria.

Dedicare invece un tempo sistematico alla conoscenza, a coltivare se stessi nella cultura, secondo le proprie inclinazioni e le proprie possibilità, senza che ciò abbia un'immediata ricaduta utilitaristica.



8 Lavorare meno, per scelta o perforza, ridurre i consumi al minimo essenziale, scegliere di non abitare perforza al centro di una grande città, visto che il fiorire delle seconde case ha svuotato i piccoli Comuni, dove si possono trovare soluzioni abitative affascinanti e meno costose, con ritmi più rilassati e più tempo per coltivare se stessi. Non esiste solo la metropolitan way of life, adottata purtroppo anche nei piccoli centri.

9 Osservare e non subire le stagioni che cambiano, osservare ed assaporare i cambiamenti giornalieri della luce, dei suoni, degli odori. Rallentare quando viene sera e comunque quando siamo stanchi, senza violentare continuamente il nostro sé mantenendolo in uno stato di accelerazione permanente, incurante dei segnali del corpo e dell'ambiente.

10 Mantenere costante l'esercizio fisico, curare la postura, la respirazione. Non sono indispensabili le costose palestre.

11 Affrontare l'horror vacui. Talvolta viviamo un “tutto pieno” che ci permette di non pensare, di non sentire, di non sperimentare la paura del vuoto, dell'incertezza della vita e del futuro. Correndo, annaspiamo verso certezze che comunque non arrivano e bruciamo così il tempo che abbiamo a disposizione.

12 Rendiamo sacro ed importante ogni gesto della nostra vita, anche i più piccoli ed insignificanti. Apparecchiamo la tavola con cura, con amore, lentamente e con senso estetico. Prepariamo il cibo con calma e mangiamo lentamente.

13 Seguiamo al massimo un notiziario al giorno. I toni enfatici con cui vengono trasmesse le notizie, il martellamento mediatico, il catastrofismo sparato come colpi di mitraglia, l'illusione di poter avere sotto controllo gli eventi se consultiamo continuamente telegiornali e agenzie di stampa attraverso tv, smartphone o tablet non fanno altro che aumentare i livelli di ansia e depressione.

Disinstallate dagli smartphone tutte le agenzie di stampa e le notizie real time. A meno che non siate giornalisti che si occupano di cronaca, finanzieri o agenti di borsa non vi serve conoscere tutte le ore l'andamento delle Spread, vi viene solo angoscia e comunque non cambia nulla di sostanziale.

14 Godere dell'arte in tutte le sue forme, intesa sia nell'aspetto creativo contemplativo che nell'aspetto produttivo della tecnica. L'arte crea delle forme, come la natura, contemplare l'arte e creare delle forme è un processo naturale, non occorre essere Van Gogh, basta dedicarsi all'ascolto ed all'osservazione, alla fotografia, al cinema, alla musica, entrare in una chiesa del XIV secolo, oppure anche mettersi in grado di riparare un mobile, una finestra. Creare e contemplare. Il bello cura.

15 Rendere il viaggio parte della propria vita. Il viaggio è una dimensione interiore, come insegna I Vagabondi del Dharma, romanzo meno noto di Kerouac. Non sempre il viaggio costa, è possibile camminare, come insegnano i progetti come Camminare per conoscere. Siamo pieni di borghi, chiese, monasteri, riserve naturali, anche vicino a casa di ciascuno di noi. L'Italia potrebbe vivere di natura e cultura.

domenica 6 gennaio 2013


Sul perdere il lavoro…


In quest'articolo ci occuperemo delle persone che perdono il lavoro e sono già avanti con gli anni, diciamo dai 50 in poi.

Vedremo come la perdita del lavoro non sempre costituisca un problema di carattere meramente economico, ma coinvolga temi profondi riguardanti l'identità.

Vedremo come molte persone tra i 50 ed i 65 anni, per lo più uomini, potrebbero trarre vantaggio da una consulenza professionale che li aiuti a rivedere le loro vite, pur non necessariamente soffrendo di qualche forma di psicopatologia.

Iniziamo con il "lavoro". La Repubblica italiana è fondata sul lavoro. Così recita la nostra costituzione, in questi giorni oggetto di fine esegesi comica.



 A memoria personale, quindi a partire dagli anni '60 fino ai nostri giorni, la casta partitica dominante ha utilizzato il lavoro come la Chiesa cattolica utilizzava le indulgenze nel medioevo. Merce di scambio. 

Chi è stato giovane negli anni '70 ricorda come già il mercato del lavoro fosse drogato dalle raccomandazioni, dall'aspirazione ad entrare in un posto pubblico, dalla rete familiare su cui i più fortunati potevano contare. Lo sviluppo personale, professionale  e imprenditoriale, riguardava una minoranza di casi, minoranza per fortuna nutrita, ma pur sempre minoranza. 

Martin Lutero rovesciò il tavolino e pose fine alla vendita delle indulgenze; in attesa che arrivi il nostro Lutero, dobbiamo osservare che questa condizione, perdurante fino ai nostri giorni, ha creato in Italia uno scenario psicologico piuttosto particolare: da un parte chi ha il "lavoro" continua a considerarlo come un diritto inalienabile, con tutto il corteo di garanzie sindacali che ne consegue, chi non lo ha non gode di alcuna garanzia e chi lo perde si ritrova senza un pezzo di identità.

La psicologia individuale presenta  delle strutture invarianti che passano indenni attraverso epoche e contesti culturali. Altre strutture, come l'identità personale, invece risentono fortemente del clima culturale e di come vediamo "gli altri" rispecchiati in noi.

Vediamo come questa particolare condizione legata al lavoro ha influenzato la psicologia di ciascuno di noi. 

Il lavoro in Italia rischia di essere  percepito come un "favore" (da ripagare in maniera salata, con soldi o clientele) piuttosto che una condizione di possibilità che debba essere facilitata dal patto sociale che lo Stato incarna. Chi l'ha conquistato da solo, a maggior ragione, investe sul lavoro, proprio perché merce rara; chi l'ha ottenuto attraverso raccomandazioni o attraverso la rete familiare investe sul lavoro perché deve poi meritarselo, in altri casi si investe solo sul tenerselo stretto.

La generazione dei "baby boomers", le persone che oggi hanno tra i 50 ed i 65 anni, è cresciuta con l'idea del "Progresso", l'idea che le cose con il tempo miglioreranno sempre. 

I baby boomers hanno costruito la loro identità attorno all'orologio, sfruttando il tempo con il metodo di quel materialismo scientifico con cui hanno provato a fare la rivoluzione. Uomini e donne d'azienda, da attività imprenditoriale, impiegati pubblici con un altro lavoro in nero appena usciti dal ministero, per pagare il mutuo di una casa in un quartiere meno periferico di quello d'origine, per pagare l'università ai figli, la casa al mare o le rate della macchina, in altre parole per finanziare un benessere forse non essenziale.

Non era facile ottenerlo, ma una volta avuto il lavoro diventa fagocitante, l'identità si modella sul lavoro, non viceversa. Spesso le famiglie, gli affetti, la cultura, il benessere e l'esercizio fisico vengono sacrificati al lavoro, non tanto per senso di dovere ma perché è principalmente sul lavoro che l'identità viene a fondarsi.  L'azienda, l'attività imprenditoriale, la professione sono fonte di lamentele perché il rapporto con loro  è ambivalente, dipendiamo da loro e non ci piace, però non ne possiamo fare a meno. 

Il giovanilismo a tutti i costi che contraddistingue i "baby boomers" rende difficile adeguare i ritmi all'età che avanza: viaggi di lavoro interminabili, riunioni serali, ritmi da trentenne rampante. Anche la transizione cognitiva è totalmente negata. Siamo diventati più bravi ad avere una visione d'insieme, meno analitici e puntuali, la memoria a breve termine funziona di meno e facciamo sempre più fatica a "stare sul pezzo". Ma non importa, pretendiamo sempre le prestazioni da trentenne. La "visione d'insieme" comunque non funziona perché non ci prendiamo tempo per passeggiare, pensare, studiare, riflettere. Quando abbiamo finito con i figli subentrano subito i nipoti, per i quali diventiamo volentieri genitori a tutti gli effetti.

Quando il lavoro si perde, perché licenziati, perché l'attività non va più, la professione rende di meno o, per i più fortunati, perché andiamo in pensione, si spezza qualcosa di importante. Si spezza un sistema difensivo, un mostro autoreferenziale e fagocitante che ha pilotato le nostre vite.

E lascia il vuoto.

Ci accorgiamo che il nostro giardino nel frattempo è andato in malora e ci sembra un'impresa troppo grossa levare le erbacce, potare, zappare, riseminare ed innaffiare.

Per al prima volta nella vita abbiamo tempo, il tempo che abbiamo spesso desiderato, e non sappiamo cosa farci. 

Siamo abituati al tempo storico, progressivo, al prima e al dopo.

 Agostino d'Ippona già nel V secolo dopo Cristo sottolineava come il tempo fosse una costruzione cognitiva, una percezione dell'uomo e del suo intelletto imperfetto;  un bisogno di ordinare le cose razionalmente, attribuendo loro un prima e un dopo. Il tempo divino, secondo Agostino, è invece un eterno presente. Se Dio avesse un passato o un futuro sarebbe anche lui soggetto alle leggi del cambiamento, quindi non sarebbe Dio. L'Eternità è il presente.  



Abituato al tempo storico che scorre, chi perde il lavoro si trova finalmente in mano il tempo presente, il suo tempo personale. Paradossalmente il tempo diventa un angoscioso baratro senza fine all'interno del quale precipitare, perché il presente non ha mai avuto senso. 

Non ha mai avuto senso fermarsi ed assaporare l'attimo, usare il proprio tempo per contemplare. 

Ed il senso della contemplazione non si crea dall'oggi al domani. Solo fermandosi ad osservare se stessi ed il mondo si può cogliere la propria identità, quel vero sé ammantato dagli orologi, dal tempo storico, dall'identificazione con un lavoro ed un progresso sociale che di colpo si rivelano moneta falsa, che non può più essere spesa, carta straccia.



La depressione fa capolino, il corpo dà segnali negativi, conosciamo l'ansia dell' affrontare le cose, sentimenti forse prima sconosciuti o quantomeno silenziati.  L'unico modo che conosciamo per far fronte alla situazione è cercare di tornare a fare quello che facevamo prima, magari da un'altra parte.

Nel lavoro clinico ho avuto modo di osservare come sia difficile uscire da soli da questa sorta di sabbie mobili. Ho visto come molte volte occorra un percorso dentro di sé, un viaggio accompagnato, che aiuti ad imparare a tollerare il peso dell'eterno presente, imparare a considerarlo un 'opportunità invece che un baratro che lascia sgomenti, imparare ad abitare il tempo.

In un prossimo articolo vorrei invece occuparmi delle persone tra i 20 ed i 40 anni, che invece sembrano non aver più diritto ai loro sogni, ad un lavoro che rinforzi l'autostima, che costruisca un adeguato senso di sé.