domenica 13 marzo 2011

Le storie del centro notturno di pronta accoglienza per persone tossicodipendenti

Le storie riportate hanno diversi aspetti in comune e consentono qualche riflessione.
Inizialmente prenderei in considerazione alcuni aspetti relativi all’utenza. Non si tratta solo di ospiti coinvolti con l’uso di sostanze stupefacenti, ma portatori di ulteriore disagio, si tratta infatti di persone che hanno interrotto più o meno recentemente e più o meno definitivamente il rapporto con figure significative. Non ci sono genitori, non ci sono amici, non ci sono parenti, non sembra nessuno, spesso nemmeno i servizi, disposto ad accoglierli. Quasi tutti i centri notturni di Roma non accolgono persone tossicodipendenti ed alcuni di quelli deputati a farlo pongono dei veti su alcuni. 
E’proprio qui, in centri come questo, che ci si rende conto che quando si tocca il fondo c’è sempre qualcuno che bussa da sotto. 
Nella notte, che sembra portare con sé il luogo da cui non è possibile fuggire, le persone, distanti solo qualche attimo dall’ultima dose assunta, si aprono al dolore, al bisogno ed alla domanda di aiuto. Ed allora la richiesta di un posto letto si configura come un’emergenza di un tutto che nasconde e palesa situazioni molto complesse, gravi. Insomma il papà che si coinvolge sino a portare la dose al figlio, il malato di AIDS, il giovane che nella notte si aggira con un coltello, quello che delira, sono tutti portatori di richieste che, sebbene celate all’interno di comunicazioni assurde o di monotone ripetizioni di messaggi non verbali sulla relazione, vanno al di là di quella legata alla erogazione di un’ospitalità, di un pasto caldo o della possibilità di lavarsi. Consegue il notevole coinvolgimento umano e impegno professionale richiesto all’operatore, che non può sottrarsi al confronto continuo con gli aspetti più duri della vita, il dolore, la malattia, la morte, e con richieste sempre più forti, sempre più pressanti sino a connotarsi come urgenze. Si tratta per l’operatore di contattare situazioni dal forte impatto emotivo e si tratta soprattutto di salvaguardarsi e di orientare i propri vissuti in un progetto di intervento dotato di senso ovvero un’azione che, tenendo conto delle risorse dell’ospite, dell’operatore e dei servizi esistenti, persegua obiettivi possibili. Infatti è necessario assicurare all’utenza un’azione assistenziale, una risposta concreta  che soddisfi i bisogni primari e riduca nel contempo i rischi socio-sanitari impliciti nel vagabondare notturno, ma anche un’azione di decodifica della domanda con conseguente organizzazione di risposta adeguata. Ciò è assicurato dall’azione di supervisione, necessaria per qualsiasi lavoro che implica l’analisi di una relazione ed assolutamente imprescindibile per servizi di frontiera come il centro notturno di Magliana ’80.

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