sabato 7 settembre 2019

Canis Sapiens et Homo Faber. Divagazioni su mente e linguaggio


Gli manca solo la parola…


Quante volte abbiamo sentito questa frase in bocca a persone sinceramente innamorate del proprio cane. Eppure questa frase è sintomo di un pregiudizio, spesso inconsapevole, antropocentrico e specista, ovvero di una cultura che misura tutto sul metro dell'uomo, l' “Homo Mensura” del filosofo presocratico Protagora(1) Una forma di pensiero, non unica ma dominante da sempre nella cultura e nella filosofia occidentale, che pone l'uomo al centro dell'Universo ed in cima ad una presunta piramide assiologica.

In contrasto con l’antropocentrismo, negli anni '70 e '80 del secolo scorso si sono schierati, tra gli altri, due filosofi anglosassoni, Tom Regan(2) e Peter Singer(3), che hanno pubblicato due fondamentali testi in difesa dei diritti degli animali, dando vita alla corrente di pensiero filosofica e sociale degli animal rights, con sfumature ed accezioni anche molto diverse dalla corrente di pensiero filosofico detta deep echology(4), che raccoglie una lunga tradizione di attenzione alla Natura Mater che passa dai Pitagorici, ai filosofi neo-platonici, Giordano Bruno, Baruch Spinoza e parte della letteratura e filosofia romantica.

Secondo Singer l'atteggiamento antropocentrico della cultura occidentale arriva a definirsi come specismo: “Lo specismo... è un pregiudizio o atteggiamento di prevenzione a favore degli interessi dei membri della propria specie a sfavore di quelli dei membri di altre specie. Dovrebbe risultare evidente che le fondamentali obiezioni avanzate nei confronti del razzismo e del sessismo da Thomas Jefferson e Sojourner Truth sono altrettanto valide nei confronti dello specismo. Se il possesso di un superiore livello di intelligenza non autorizza un umano ad usarne un altro per i suoi fini, come può autorizzare gli umani a sfruttare i non umani per lo stesso scopo?”(5)

Jeremy Bentham, filosofo liberale e giurista inglese, già nei primi dell'Ottocento scriveva: “C'è stato un giorno, e mi rattrista dire che in molti posti non è ancora passato, in cui la maggior parte del genere umano, grazie all'istituzione della schiavitù è stata trattata dalla legge esattamente nello stesso modo in cui, per esempio in Inghilterra, sono trattate ancora le razze inferiori di animali.
Forse verrà il giorno in tutte le altre creature animali si vedranno riconosciuti quei diritti che nessuno, che non sia un tiranno, avrebbe dovuto negar loro. I Francesi hanno già scoperto che il colore nero della pelle non è una buona ragione perché un uomo debba essere abbandonato, per motivi diversi da un atto di giustizia, al capriccio di un torturatore. Forse un giorno si giungerà a riconoscere che il numero delle zampe, la villosità della pelle o la terminazione dell'osso sacro sono ragioni altrettanto insufficienti per abbandonare a quello stesso destino un essere senziente. In base a che cos'altro si dovrebbe tracciare la linea insuperabile? In base alla ragione? O alla capacità di parlare? Ma un cavallo o un cane che abbiano raggiunto l'età matura sono senza confronto animali più razionali e più aperti alla conversazione di un bambino di un giorno, di una settimana o di un mese. Supponiamo che così non fosse; che cosa conterebbe? La domanda da porsi non è se sanno ragionare, né se sanno parlare, bensì se possono soffrire.“ (6)

Il primo movimento antispecista ha avuto il merito storico di sollevare l'attenzione sul rapporto violento e strumentale che l'uomo ha intrapreso con gli animali, soprattutto dall'età moderna in poi, da quando Cartesio (7) li considerò macchine prive di anima, utilizzando teorie razionaliste non lontane dal moderno cognitivismo.

Il primo movimento antispecista ha dimostrato che gli animali possono avere il nostro stesso diritto a non soffrire,in primis quelli che godono della individualità soggettiva così come ne godiamo noi (considerando almeno i mammiferi in buona salute e al di sopra di un anno di età), e da questa soggettività, in qualità di pazienti morali (8), traggono il diritto teleologico a sviluppare e compiere la loro vita. Altri animali godono di forme di soggettività diversa dalla nostra o, chissà, non ne godono affatto. E qui c’è da pensare se il diritto alla vita passi esclusivamente attraverso l’esistenza di una soggettività e di una coscienza, ancora una volta sul modello umano, oppure se ad avere caratteristiche di sacralità e inviolabilità sia la vita in sé, che tutte le creature condividono, nel tentativo di portarla avanti attraverso nascita, sviluppo, riproduzione e declino.

E' stato un primo passaggio importante perchè il riconoscimento del fatto che gli animali posseggano emozioni, sensibilità, che abbiano un desiderio di vivere e non soffrire li avvicina a noi e mette gli uomini in condizione di empatizzare, ovvero di capire che possono provare emozioni simili alle nostre.

Il “volto” di questo Razza ci meraviglia, ci convoca e ci invoca, come direbbe Levinas limitando però il suo discorso agli esseri umani.


Si tratta di un “volto” nel quale possiamo percepire, per dirla con Gregory Bateson (9), una struttura identica alla struttura del volto umano, nei rapporti spaziali esistenti tra bocca, occhi, naso e la rotondità del volto.

Ed è proprio questa struttura a far scattare, in persone sufficientemente sensibili, l'empatia.

Soggettività, individualità, empatia, grazie alle quali gli animali sarebbero “come noi” e, in funzione di ciò, degni di rispetto.

Tuttavia questo modo di vedere rimane sempre fondato sulla centralità umana visto che gli animali vengono rispettati “in quanto sono come noi o presentano forti analogie”, che è il medesimo presupposto culturale che apre il rubinetto da cui scaturisce la sperimentazione animale o, per meglio dire, la vivisezione, come va chiamata senza giochetti linguistici volti a spogliare l’evento significato attraverso la parola dalle emozioni connesse.

Esiste tuttavia una corrente di pensiero, un antispecismo di ultima generazione (10), secondo il quale nel pensare l'animale è più interessante ed importante porre l'accento sulle differenze che sulle similarità con l’uomo (11). Gli animali possono essere rispettati in quanto individui dotati di soggettività e di speranza di vita, non in quanto simili a noi o appartenenti ad una generica categoria logica ma non ontologica, come quella dell’animale (13).

Se invece considerassimo le differenze piuttosto che le analogie,apriremmo la via ad una serie di domande, sulle quali solo recentemente la comunità scientifica ha iniziato a riflettere creando a disciplina della Animal Cognition : come pensano i mammiferi superiori? E alcune razze di uccelli? Siamo sicuri di sapere come pensano gli animali non umani che più  che più frequentiamo e conosciamo, ovvero i cani?

Possiedono una mente? E se si, abitata da quali forme di pensiero? E’ possibile individuare in alcune specie delle forme di linguaggio? Ed è possibile che tra specie diverse si vengano a costituire linguaggi del tutto nuovi, originariamente non appartenenti né a una specie né all’altra?

Sono domande a cui sto lavorando, assistito dai miei principali partner scientifici e filosofici, 25 cani, di cui 22 di razza Border Collie e 3 pastorelle delle isole Shetland.

Gli uomini pensano in parole e immagini razionali e irrazionali, consce e inconsce, intrise di emozioni che talvolta diventano sentimenti, intrise dalle mappe della condizione dinamica di ogni distretto corporeo. Nella evoluzione dell'animale umano, viene prima il pensiero o il linguaggio? Esistono teorie che privilegiano entrambe le soluzioni (15).
Sta di fatto che il pensiero razionale ed il linguaggio verbale che lo accompagna nel pensiero occidentale sono sempre stati associati ad una presunta superiorità dell'animale umano nei confronti del resto degli animali.Tanto è celebrata, valutata, superiore ed inarrivabile questa differenza che nelle narrazioni evangeliche Dio sceglie il Verbo per incarnarsi nel mondo e la rivelazione Divina è portata agli uomini da Gesù Cristo, figlio di Dio, che è il Verbo. Nel Vangelo Secondo Giovanni, a differenza degli altri Vangeli dichiaratamente cristocentrico, l'incipit recita: “In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e Dio era il Verbo”.

Nelle interpretazioni teologiche maggioritarie la natura divina del Verbo è stata sempre letta come un privilegio concesso esclusivamente all'uomo, con la splendida eccezione incarnata da Francesco d'Assisi, che nella sua estrema umiltà parlava a “frate lupo” da pari a pari, entrambi da umili creature di Dio (16). Ma siamo sicuri che soltanto dove c'è il linguaggio verbale possa esistere una mente? E che il linguaggio verbale sancisca in via definitiva una superiorità dell'animale umano sugli altri, dal punto di vista ontolologico, morale, funzionale?

Sono il linguaggio ed il pensiero razionale/linguistico che conferiscono all'uomo superiorità sempre e comunque, a scapito di altre tipologie di linguaggio proprie dei diversissimi animali non umani, a scapito di menti animali, anche loro raffinate e sviluppate, anche se in direzioni molto diverse da quella evolutivamente intrapresa dalla mente umana (17)? Le caratteristiche umane sono frutto di una creazione che ha visto prendere vita creature discrete, separate le une dalle altre, oppure frutto di una evoluzione che mostra una continuità tra gli animali, compresi gli animali umani, e che a partire da una radice comune ha scavato profonde differenze legate alle funzionalità richieste dall’ecosistema? La diversità tra individui va sempre collocata su un piano gerarchico verticale assoluto, che. guarda caso, vede l’uomo al suo culmine? Oppure può essere vista come il prodotto di milioni di anni di evoluzione che ha condotto ad esseri viventi molto diversi, nelle quali sono presenti funzionalità diverse che possono mostrarsi vincenti o perdenti in termini evolutivi, ma solo se definiamo un contesto all'interno delle quali misurarle?
In altre parole, un albatros non potrà mai dipingere la Cappella Sistina, né Michelangelo Buonarroti, od ogni altro animale umano, potrebbe attraversare l'oceano volando ininterrottamente grazie alla facoltà di dormire di volta in volta con la metà del cervello. L'uomo è più intelligente o più potente, più avido, votato a combattere l’entropia a una velocità tale da consumare rapidamente tutte le energie disponibili? Ha sicuramente acquistato un dominio su tutta la natura, come se l'uomo non ne facesse parte, come se la natura fosse oggetto o risorsa da sfruttare prometeicamente (18).

La supremazia tecnica nasce dalla nostra particolare intelligenza? Forse sì, ma è una particolare forma di intelligenza che non è affatto scontato che coincida con il fatto che la vita umana sulla Terra possa continuare. E’ un bene assoluto che la vita sulla terra continui con l’uomo? Oppure il conatus che caratterizza la natura naturans in Spinoza espellerà la specie umana?

La tecnologia utilizzata per favorire solo una specie, la nostra, a scapito di tutte le altre, sembra essere stata  definitivamente separata dall'intelligenza in senso assoluto, segnando il trionfo dell’Homo Faber, dotato di un’enorme potere ma “stupido” e autoreferenziale, oramai scisso da ogni forma di responsabilità (19).
Prometeo plasma l'uomo. Olio su tela di Piero di Cosimo (1515)








1 «πάντων χρημάτων μέτρον ἐστὶν ἅνϑρωπος, τῶν μὲν ὄντων ὡς ἔστιν, τῶν δὲ οὐκ ὄντων ὡς οὐκ ἔστιν» ovvero: «Di tutte le cose è misura l’uomo, di quelle che sono, in quanto sono, di quelle che non sono, in quanto non sono».


Tom Regan: “Diritti Animali”, Garzanti, 1990.

 3 Peter Singer: “Liberazione Animale” , Il Saggiatore, 2015

Arne Naess: “The Ecology of Wisdom”, Penguin, 2008

Peter Singer, op. cit. 

Jeremy Bentham, “Principles of Morals and Legislation,”. (1823) Cap. 17, sez. 1

Cartesio, al secolo Renè Descartes, per le sue affermazioni è stato, giustamente, il principale bersaglio, perfino capro espiatorio di tutti i movimenti animalisti. C'è tuttavia da precisare che Cartesio rifletteva lo spirito dell’epoca: era il momento della fascinazione per le macchine, automi di tutti i generi venivano esibiti nelle corti imperiali. Il tema che premeva a Cartesio era quello di salvare i dettati teologici e non incorrere in fastidi inquisitori. Introdusse il conferimento da parte di Dio dell'anima razionale nell’uomo, senza la quale anche l'intelletto umano avrebbe potuto essere solo un inganno e il suo corpo una macchina come quello degli animali. Gli animali non erano sicuramente al centro negativo dei suoi interessi speculativi, anche se le conseguenze su tutta la cultura occidentale furono quelle di togliere definitivamente l’ “anima” agli animali che venivano considerati come “cose” e non esseri senzienti, capaci di intelletto, emozioni e sentimenti, capaci di essere “persona” (cfr. Roberto Mucelli: “Uomo è/e animale. Verso una filosofia dei linguaggi interspecifici.” Tesi di Laurea Magistrale in Scienze Filosofiche, Università di Macerata, 2018). Conseguenza del cartesianesimo è il dualismo che separa mente e corpo: l’una, la mente, conferisce linguaggio, razionalità e dignità alla persona umana, in quanto infusa e garantita da Dio; l’altro, il corpo, se privo di anima, semplice automa tra gli automi, funzionante a un livello animale e meccanico. Sulla base di questi assunti di tre secoli fa il mainstream della scienza attuale usa sperimentare sugli animali, in quanto si basa sull’assunto cartesiano della equivalenza meccanicistica dei corpi, umani o animali che siano.

L'uomo, secondo Regan, è “agente morale” perché ha la responsabilità diretta delle sua decisioni ed azioni, laddove animali non umani, ma anche uomini in stato comatoso, con gravi patologie cerebrali o bambini piccoli, sono pazienti morali, ovvero esseri che possono solo subire le decisioni degli agenti morali ma che entrano appieno nel mondo della morale come portatori di diritti ma non come agenti che hanno doveri. 

Gregory Bateson: “Mente e natura” (1980), Adelphi, 1984.

10 Leonardo Caffo, Felice Cimatti: “A come animale: voci per un bestiario dei sentimenti”. Bompiani, 2015.

11 Felice Cimatti, “Filosofia dell'animalità”. Laterza, 2013

13 Nessuno di noi ha mai visto o toccato un “animale”, piuttosto abbiamo visto dei singoli esseri con le loro peculiari caratteristiche. Quindi “animale” non ha una sua realtà fattuale, ma è una categoria logica. vastissima, che va dal dromedario al paramecio passando per l’uomo; quindi, è di scarsissimo valore euristico ed esplicativo, secondo una grossolana convenzione condivisa, sta a significare tutte le creature animate che non siano l’uomo.

14 Clive Wyne, Monique Udell: "Animal Cognition. Evolution, behavior, cognition. Second Edition, Red Globe Press, 2019.

 15 Stefano Gensini, Manuale di Semiotica, Carocci, 2004.

16 “I fioretti di San Francesco”. Rizzoli, 1979.

17 Frans de Waal. “Siamo così intelligenti da capire l’intelligenza degli animali?”. Cortina, 2016.

18 Pierre Hadot, “Il velo di Iside”. Einaudi, 2006.

19 Hans Jonas, “Il Principio Responsabilità” (1979). Einaudi, 1990.









1 commento:

  1. «Di tutte le cose è misura l’uomo, di quelle che sono, in quanto sono, di quelle che non sono, in quanto non sono».
    Questa centralità dell'uomo, probabilmente ha fatto evolvere il mondo, superare superstizioni, credi deresponsabilizzanti, però l'interazione uomo (compless1ità ragione e spirito) e natura (complessità animale, vegetale, risorse) ci apre nuove prospettive. Forse sarà la salvezza della nostra specie. Grazie per il contributo

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